Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo, sarà una delle personalità di spicco che interverranno nel corso della “cinque giorni” organizzata dalla Camera di Commercio di Udine (1-5 Febbraio 2016), nell’ambito del Future Forum, che si terrà anche quest’anno in diverse sedi della città.
“Vogliamo
godere di una vita ricca, abbiente, il che ci ha orientati ad assumere
come principale indicatore l’acquisto, lo shopping. Pare che tutte le
strade che portano alla felicità portino ai negozi. Ciò sottopone il
sistema economico, e più in generale il nostro pianeta, ad una pressione
enorme. Ciò è disastroso per le nuove generazioni; è evidente che
stiamo vivendo al di sopra dei nostri mezzi, sulle spalle dei nostri
figli. Possiamo trovare delle alternative alla crescita della produzione
e dei consumi per trovare soddisfazione, in definitiva per essere
felici? Ciò è necessario se non vogliamo distruggere il nostro habitat e
generare fenomeni catastrofici come le guerre. I livelli attuali di
consumo sono già insostenibili dal punto di vista ambientale ed anche
economico. L’idea della prosperità al di fuori delle trappole del
consumo infinito viene considerata un’idea per pazzi o per
rivoluzionari. Jackson dice che ci sono delle alternative: le relazioni,
le famiglie, i quartieri, le comunità, il significato della vita. Ci
sono enormi risorse di felicità umana che non vengono sfruttate. La
maggior parte delle politiche realizzate nel mondo dai governi va
esattamente nella direzione opposta. Queste politiche raramente vanno al
di là della prossima scadenza elettorale, raramente guardano a ciò che
succederà fra 20 o 30 anni. Assistiamo ad un processo di mercificazione e
commercializzazione della moralità. I mercati sono abituati ad
orientare i bisogni umani, bisogni che in passato non erano soddisfatti
dal mercato. Questo è ciò che io indico con l’espressione
‘commercializzazione della moralità’. Il nostro reale bisogno dovrebbe
essere prenderci cura dei nostri cari. Credo che tutti noi qui in sala
ci sentiamo in colpa perché non riusciamo a trascorrere abbastanza tempo
con i nostri cari. 20 anni fa il 60% delle famiglie americane si
ritrovava attorno allo stesso tavolo per cenare. 20 anni dopo solo il
20%. Le persone sono più occupate con il loro cellulare, il loro ipad e
così via. La nostra vita quotidiana è profondamente cambiata, a causa
anche delle tecnologie, che hanno sicuramente prodotto delle cose
positive, ma hanno anche creato dei danni collaterali. Se oggi usciamo
senza cellulari ci sentiamo nudi. Il confine fra il tempo dedicato al
lavoro e quello dedicato alla famiglia è sfumato. Siamo sempre al
lavoro, abbiamo l’ufficio sempre in tasca, non abbiamo scuse. Dobbiamo
lavorare a tempo pieno. E più si sale nella scala gerarchica meno tempo
per sé si ha. Si è sempre in servizio. Ovviamente i mercati e il
consumismo non possono riparare questa situazione; possono però aiutarci
a mitigare la nostra cattiva coscienza, e lo fanno spingendoci verso
l’acquisto, lo shopping, il mercato. Al tempo stesso disimpariamo altre
abilità ‘primarie’. Ad esempio a riconoscere il dolore, il dolore
morale, che è molto importante, perché esso è un sintomo, ci aiuta a
riconoscere la fragilità dei legami umani. Improvvisamente abbiamo
persone che hanno migliaia di amici in internet; ma in passato dicevamo
che gli amici si vedono nel momento del bisogno, e questo non è
esattamente il caso degli amici che abbiamo in internet. Fino a quando
il nostro senso morale verrà mercificato, l’economia crescerà perché
messa in moto dai bisogni umani e dai desideri che è chiamata a
soddisfare, bisogni e desideri apparentemente ‘buoni’, come dimostrare
l’amore per gli altri. I grandi economisti del passato sostenevano che i
bisogni sono stabili, e che una volta soddisfatti tali bisogni possiamo
fermarci e godere del lavoro fatto. C’era la convinzione che alla fine
del percorso avviato con l’inizio della modernizzazione si avrebbe avuto
un’economia stabile, in perfetto equilibrio. Successivamente si è presa
una strada diversa. Si è inventato il cliente. Si è capito che i beni
non hanno solo un valore d’uso, ma anche un valore simbolico, sono degli
status symbol. Non si acquistava più un bene perché se ne ha bisogno,
ma perché si ‘desidera’. L’obiettivo quindi diventava sviluppare sempre
nuovi desideri negli esseri umani. Ma anche i desideri ad un certo punto
si scontrano con dei limiti. Così, il limite è stato superato
mercificando la moralità: non ci sono limiti all’amore, non ci sono
limiti all’affetto che vogliamo dimostrare agli altri. Responsabilità
incondizionata, condita da incertezze e ansie: questo è il motore del
consumismo odierno, questo l’impulso che ci spinge a fare sempre di più,
a produrre sempre di più. Ma ciò non è possibile, le risorse sono
sempre limitate. Forse il momento della verità è vicino. Ma possiamo
fare qualcosa per rallentarlo: intraprendendo un cammino autenticamente
umano, un cammino fatto di reciproca comprensione.”
Leggi la versione completa dell’intervento sul sito ufficiale del Festival dell’Economia
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