David Foster Wallace (scrittore americano comparso il 12/09/2008) |
di David Foster Wallace, Kenyon College, discorso ai laureandi dell’A.A. 2005
Ci sono questi due giovani pesci che
nuotano insieme, e a un certo punto incontrano un pesce più vecchio che
nuota in direzione opposta, il quale fa un cenno di saluto e dice,
“‘Giorno, ragazzi, com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a
nuotare per un po’, e infine uno dei due si rivolge all’altro e fa, “Che
diavolo è l’acqua?”
Se temete che io intenda presentarmi
a voi come il pesce vecchio che spiega cos’è l’acqua, non
preoccupatevi. Non sono il vecchio e saggio pesce. Il punto fondamentale
della storiella dei pesci è che le realtà più ovvie, ubique e
importanti spesso sono quelle più difficili da vedere e di cui è più
difficile parlare. Detto in questi termini, naturalmente, non è che un
luogo comune -ma il fatto è che, nelle trincee quotidiane dell’esistenza
adulta, i luoghi comuni possono essere una questione di vita o di
morte. Potrebbe suonare come un’iperbole, o un’insensata astrazione.
Scendiamo nel concreto, allora…
Viene fuori che una grossa
percentuale delle cose di cui tendo ad essere automaticamente sicuro è
completamente sbagliata e illusoria. Ecco un esempio dell’assoluta
erroneità di qualcosa di cui tendo ad essere automaticamente certo: ogni
cosa, nella mia esperienza immediata, conferma la mia profonda
convinzione che sono io il centro assoluto dell’universo, la persona più
reale, vivida e importante che esista. Raramente parliamo di questa
sorta di egocentrismo naturale, di base, perché ispira una forte
repulsione sociale, ma in fondo lo stesso vale per ognuno di noi. È la
nostra configurazione standard, quella che ci ritroviamo installata nei
nostri circuiti a partire dalla nascita. Pensateci: nessuna delle
esperienze che avete vissuto era incentrata su qualcuno che non foste
voi stessi. Il mondo di cui fate l’esperienza è proprio di fronte a voi,
o dietro di voi, o alla vostra sinistra, o alla vostra destra, sul
vostro teleschermo, sul vostro monitor, o quel che è. I pensieri e i
sentimenti degli altri vi devono essere comunicati in qualche modo, ma i
vostri sono così immediati, urgenti, reali -ci siamo capiti. Ma vi
prego, non temete che mi metta a predicarvi la compassione o l’empatia o
le cosiddette “virtù”. Non è una questione di virtù -è una questione di
scegliere se impegnarmi a modificare o a liberarmi dalla mia
conformazione standard, naturale, impiantata nei circuiti, che consiste
nell’essere profondamente e letteralmente incentrato su di me,
nell’osservare ed interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé.
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