"Alphonso parlava poco e quando la faceva la sua
voce era profonda e sommessa come quella degli antichi bluesmen nati attorno al
delta del Mississipi come lui. Se mai siete da quelle parti difficilmente non
avrete provato la netta sensazione che tutto inizi e tutto finisca con grande
fiume. In campo per lui parlava il segno incisivo ed elegante delle sua
straordinaria pallacanestro. Sasha Djordjevic, il più slavo degli slavi e come
tale non particolarmente propenso verso gli afroamericani li rispettava come se
Alphonso fosse nato sulle rive del Danubio e non su quelle del grande padre Mississipi.
Alphonso sapeva per questo giocava ogni partita come fosse l'ultima. Una sera a
cena, dopo aver letteralmente vivisezionato una buona squadra europea
prendendo tra l'altro negli ultimi 10 minuti un impressionante serie di righe
di fondo per un uomo della sua stazza, si stava lamentando – sommessamente come
al solito - di quanto fosse più grande il diametro del pallone dell'Eurolega
rispetto a quello del campionato, troncò improvvisamente la frase.... "Man
I am tired", sono stanco. Di fianco al bicchiere d'acqua minerale le
solite pastiglie, quelle che dovevano lenire il dolore e mantenere la speranza.
Alphonso sapeva. Infatti aveva deciso di smettere. D'estate non toccava palla.
Andava a stanare il pesce nei rivoli del grande fiume che conosceva solo lui e
faceva delle beneficenze e Dio solo sa di quanta ce ne sia bisogno da quelle
parti. Non s'era lasciato particolarmente bene con Siena, la sua ultima squadra
italiana. Quando tramite il suo agente greco gli arrivò l'offerta della
Scavolini era già in corso una delle tremende interminabili umidissime estati
del Mississipi. Tentennò, poi disse si. Alphonso sapeva che quella sarebbe
stata la sua ultima stagione e che prima o poi, più prima che poi avrebbe
dovuto farsi regalare dal grande fiume l'ultimo abbraccio. Proprio per questo fu la sua più bella di sempre. Ovunque
tu sia, grazie Puma."
Federico Buffa
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